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“Transparent factory – Quando gli spazi del lavoro fanno comunicazione”, intervista Qualizza

“Transparent factory – Quando gli spazi del lavoro fanno comunicazione”, di Gabriele Qualizza, Franco Angeli Editore, 2010. Parliamo oggi di un testo che si occupa del rapporto tra comunicazione e organizzazione d’impresa con specifica attenzione per l’esperienza vissuta dalle persone che si muovono e lavorano all’interno degli spazi aziendali.

Un testo pubblicato nel 2010 e che abbiamo scelto di riprendere partendo dallo spunto delle buone pratiche per la sicurezza sul lavoro di cui molto abbiamo discusso sulle nostre pagine, oggetto di campagne europee e nazionali.

“Transparent Factory” non è un libro sulla sicurezza sul lavoro e non affronta direttamente temi come la prevenzione dai rischi, la sorveglianza sanitaria, o quanto altro i lettori abituali di Quotidiano Sicurezza potrebbero aspettarsi di trovare. Nelle sue pagine si parla di architettura industriale, di ambiente ufficio, di design, di progettazione e pianificazione di modelli lavorativi e di ambienti, capaci, da un lato, di incrementare la motivazione delle persone, tutelandone la creatività, la familiarità, il benessere, ma anche, dall’altro lato, di attrarre l’attenzione dei mercati e dei consumatori.

Scenari di sviluppo d’impresa quindi, che partono da un rinnovamento nel design sia dei comparti produttivi interni sia dell’aspetto esteriore di un’azienda. Che coltivano “l’idea del design degli ambienti di lavoro come forma di comunicazione”. Dove a volte i “principi dello show business sono utilizzati non solo per favorire lo spirito di squadra dei dipendenti, ma anche per catturare l’attenzione dei media e il consenso dei consumatori”.

Labourtainment, media-building, spazi di lavoro da re-incantare. Un volume per indicazione editoriale destinato a esperti di comunicazione e marketing, ma che non è azzardato accostare alle esigenze complementari e prime riguardanti la salute sul lavoro, il benessere psico-fisico,  il coinvolgimento attivo dei dipendenti e la collaborazione fra le molteplici unità organizzative che compongono un’azienda.

Abbiamo intervistato l’autore del volume, Gabriele Qualizza, esperto d’immagine e di comunicazione d’impresa, redattore di Brandforum.it, primo osservatorio in Italia sul mondo delle marche, oltre che docente nell’ambito del marketing e della comunicazione aziendale in varie sedi universitarie (Trieste, Udine, Milano Cattolica).

Dott. Qualizza, partiamo dal labourtainment.

È un termine nuovo, che fonde insieme labour ed entertainment, lavoro e intrattenimento. Alla base vi è l’idea che queste due dimensioni, quella del gioco e quella del lavoro, tendano sempre più a confondersi e a mescolarsi. In altri termini, ci si aspetta che il lavoro sia interessante e divertente, fino a diventare una forma di autorealizzazione e di espressione di sé. Parlando di labourtainment, ci riferiamo anche a nuove concezioni degli spazi lavorativi, testimoniate da esperienze in atto e future che mirano a rileggere l’ambiente di lavoro, proponendo una continuità tra il lavoro e le esigenze della persona. Alcuni esempi di tali esperienze, citati nel libro, riguardano le strutture di Google e di H- Farm: ambienti coloratissimi e informali, ricchi di servizi (ristorante, bar, nursery per i figli dei dipendenti, spazi ricreativi, giardino esterno…), che cercano di valorizzare lo spirito di squadra e il senso di appartenenza ad una vera e propria “comunità di pratica”.

Da tempo ci occupiamo di buone pratiche per la sicurezza sul lavoro, ovvero di prassi e programmi aziendali che oltrepassando l’applicazione che si immagina assodata della normativa, si dirigano verso l’instaurazione di abitudini virtuose che mantengano alta la partecipazione e l’attenzione di tutti i comparti d’azienda. Potremmo accostare a questo le esperienze da lei citate?

Si, potremmo farlo. Ci occupiamo di esperienze che mirano al coinvolgimento e alla condivisione dei dipendenti, andando oltre il semplice rispetto formale delle normative esistenti. Oggi si accentua la consapevolezza che la qualità degli artefatti (organizzazione degli spazi, temperatura, illuminazione, rumore e qualità dell’aria) può influire sui soggetti, traducendosi in performance di livello più elevato e in un incremento della soddisfazione dei dipendenti. Si tratta quindi di elaborare soluzioni architettoniche e organizzative adattabili a ogni settore lavorativo, calibrate sulle differenti dimensioni di un’azienda. Ovviamente con ogni declinazione necessaria. È molto più semplice immaginare un’esperienza lavorativa aperta, nuova, con nuove architetture, in un’azienda creativa, piuttosto che in una fonderia. Ma potrei d’altro canto citare gli impianti Wolkswagen della Gläserne Manufaktur di Dresda, una fabbrica ecologica e trasparente, attenta alla sicurezza dei lavoratori: il concetto di base è trasformare la tecnologia in supporto per l’intelligenza e l’abilità delle persone, riducendo lo sforzo fisico e restituendo spazio alla manualità nelle operazioni che richiedono cura del dettaglio e precisione. In questo contesto la produzione, l’esposizione e la vendita, si fondono in un’unica struttura. Una struttura già da sé esplicita ed eloquente, di grande impatto scenografico, grazie alle grandi vetrate che si aprono sull’ambiente esterno e lasciano filtrare la luce del sole: il complesso ospita inoltre eventi, concerti, visite guidate, presentazioni, che coinvolgono i visitatori in una relazione interattiva con l’azienda.

È un approccio che potremmo accostare alle strategie di internal branding, allo storytelling: un approccio co-creativo, che rende partecipi delle scelte e della produzione tutti i comparti fino ad arrivare al consumatore.

Certo, un esempio è la nuova sede di Facebook: il progetto ha coinvolto tutti i dipendenti, impiegati a ogni livello della scala gerarchica, che sono stati ascoltati prima di iniziare a buttare giù i primi disegni. Invece di procedere con i classici questionari, sono stati creati dei gruppi, ovviamente su Facebook: unità di impiegati nei diversi dipartimenti hanno aperto la propria pagina virtuale sul portale, accessibile ai designer, attraverso la quale hanno espresso esigenze e desideri. Passo dopo passo, il progetto è cresciuto e ha cominciato a prendere forma sotto gli occhi di tutti….

Si tratta quindi di progettare nuovi spazi secondo una logica di design partecipativo: ideandoli a partire dalle esigenze espresse dalle maestranze. Con un presupposto inverso a quello, spesso adottato, di costruire prima le strutture architettoniche. Per far adattare in seguito le maestranze ad ambienti predefiniti. 

Spazi capaci di invitare alla condivisione, e che rendano partecipata e migliore la vita sul lavoro. Che ne pensa degli open space, molto in voga da tempo, e recentemente criticati in un articolo apparso sul Corriere della Sera. Come ambienti che per mancanza di privacy riducono il benessere e la produttività.

In efffetti credo si tratti ormai di un mito che stiamo sfatando. Il fattore che più pesa sugli open space è appunto la mancanza di privacy, la totale condivisione di tutta la giornata lavorativa. Credo che, rispetto all’open space, sia più efficace tornare agli uffici individuali, affiancati da vari e attrezzati spazi per l’incontro e la condivisione. La soluzione ideale è un luogo di lavoro che mescoli momenti di concentrazione, di collaborazione e di confronto.

Re-incantare il lavoro, ammesso, mi permetta l’inciso, che in questi momenti di lavoro ce ne sia.

Investire nella qualità degli ambienti e nella qualità dell’esperienza lavorativa è uno dei maggiori veicoli per lo sviluppo di un’impresa. È un modo per creare insieme lavoro e cultura del lavoro. Non investire parallelamente su queste due dimensioni equivale per le aziende a perdere competitività, produttività, lavoro. L’investimento, l’eccellenza creano condizioni ottimali e possibilità. Si segnala in questo senso l’esperienza di Brunello Cucinelli, produttore di maglioni in cashmere di altissimo pregio. La sede dell’azienda è un intero piccolo borgo in Umbria, Solomeo, riportato allo splendore grazie a un paziente lavoro di restauro. I laboratori sono ospitati nelle case di un tempo: stanze calde ad accoglienti con travi a vista, finestre che guardano sulle colline, caminetti, affreschi, pavimenti in cotto. Il risultato è una comunità che lavora in un ambiente totalmente aperto, in un borgo che ha ripreso vita. Un’ “impresa umanistica”, che crea, realizza e vende prodotti di altissima qualità, valorizzando i propri collaboratori e la qualità della vita, cercando un equilibrio tra lavoro e tempo libero.

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