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Lavoro domestico, nel 2011 già un milione e mezzo di persone si sono assicurate.

ROMA – Le donne svolgono un lavoro, quello domestico, di indubbio valore sociale e certo non esente da rischio di infortunio, anche mortale. Tutti compiti che, se fossero affidati ad una persona esterna al nucleo familiare (baby sitter, care giver, cuoca, addetta alle pulizie), dovrebbero essere configurati come un vero rapporto di lavoro e che, invece, centinaia di migliaia di donne nel nostro paese svolgono in proprio. In occasione del centenario della Giornata delle Donne Quotidiano Sicurezza ha voluto dare uno sguardo più attento anche a questo mondo poco considerato e lo ha fatto chiedendo all’Inail i dati dettagliati relativi alle ‘casalinghe’.
L’Istituto, infatti, raccoglie e gestisce la cosiddetta ‘assicurazione delle casalinghe’ quel fondo cioè al quale devono obbligatoriamente iscriversi coloro che, – donne o uomini, di età compresa tra i 18 e i 65 anni – svolgono lavoro domestico in via esclusiva, questo per dare una copertura contro gli infortuni anche a chi è privo di altre forme di assicurazione legate ad un rapporto di lavoro. I dati, aggiornati al 2011 –  visto che a gennaio sono scaduti i termini per l’iscrizione –  parlano di oltre un milione e mezzo di iscritti, la maggior parte deI quali (circa un milione e 300 mila) versano all’Istituto il contributo annuale.
La legge n. 493/99 prevede, infatti, che il contributo economico per questa forma assicurativa sia dovuto soltanto da chi, trovandosi nelle condizioni di ‘lavoratore domestico’ , abbia un reddito proprio o familiare superiore ad un minimo stabilito. Poiché era comprensibile che non tutti avrebbero accolto con favore un pagamento obbligatorio, non avendo un reddito da lavoro, e dunque prevedendo che alcuni si sarebbero sottratti al pagamento della quota assicurativa annua – se pur esigua, solo 12 euro e 91 centesimi, cioè un euro al mese – si stabilì che, per coloro che erano in evidenti ristrettezze economiche, e dunque con un reddito proprio inferiore a 4.648,11 euro annui, oppure per coloro il cui reddito del nucleo famigliare non superasse 9.296,22 annui, la copertura assicurativa sarebbe stata totalmente a carico dello Stato. Quindi queste persone devono solo autocertificare la loro condizione, senza pagare nulla.
Attualmente, sul totale di lavoratori domestici iscritti all’Inail, solo il 6 per cento ha optato per questo regime, circa 182mila persone.
Quella sul lavoro domestico è una legge che molti paesi ci invidiano e che nasce, di fatto, da una sentenza della Corte Costituzionale risalente al 1995 (N.28); qui si affermava, infatti, l’equiparabilità tra il lavoro interno alla famiglia e le altre forme di lavoro estendendo, dunque, anche alle casalinghe, i diritti dell’art 35 della Costituzione. Proprio da questa sentenza presero forza le numerose rivendicazioni, tra cui le associazioni delle casalinghe, che portarono poi l’Italia, prima tra tutti i paesi europei, a riconoscere la tutela assicurativa anche alle donne che lavorano tra le proprie mura domestiche decidendo a favore dell’obbligatorietà dell’assicurazione.
Nonostante questo sono probabilmente ancora molte le persone che non versano il contributo né presentano l’autrocertificazione e che dunque continuano a sfuggire al sistema assicurativo anche se, va detto, rispetto ai primi anni di applicazione della legge il numero di quanti, invece, vi aderiscono correttamente è enormemente cresciuto. Va inoltre detto anche che questi dati per il 2011 sono parziali: conteggiano, infatti, solo coloro che hanno deciso di pagare o presentare entro il termine stabilito, cioè lo scorso 31 gennaio, la propria certificazione, è del tutto probabile che non pochi ritardatari si aggiungeranno nel corso dei prossimi mesi, anche se a questi sarà applicata una piccola sanzione sul totale dell’importo, che dipende anche dall’entità del ritardo.

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