Richiedi un preventivo gratuito

RSPP ed organizzazione del lavoro: nuova sentenza della Corte di Cassazione Penale

ROMA – Recentemente è stata emessa la sentenza n.7143 della Sezione IV della Corte di Cassazione Penale, in merito al ruolo del RSPP e all’organizzazione del lavoro. La sentenza si riferisce all’accusa verso il direttore tecnico di un’azienda di avere responsabilità nella morte di uno dei suoi dipendenti; responsabilità causata da imprudenza, negligenza ed imperizia, per non aver dato disposizioni ai dipendenti in materia di procedure di sicurezza nel lavoro.

L’incidente avvenne il 4 luglio 2000 nella cava dell’impresa dove  il lavoratore addetto all’impianto di frantumazione morì all’interno della tramoggia di alimentazione del frantoio, schiacciato e soffocato dal materiale che era stato buttato poco prima nella stessa tramoggia dalla pala meccanica condotta da un altro dipendente.
L’addetto allo scarico del materiale avrebbe dovuto effettuare tali operazioni assicurandosi dell’assenza di persone all’interno della tramoggia.
Secondo la corte d’appello da quanto emerge dall’organigramma dell’impresa, l’imputato svolgeva il ruolo di direttore tecnico e di RSPP ovvero responsabile del servizio di prevenzione e  protezione e “aveva quindi l’obbligo di dare specifiche disposizioni ed a organizzare il lavoro in modo tale che operazioni rischiose quale quella della pulizia della tramoggia, fossero eseguite senza esporre gli addetti ai lavori a pericoli di infortuni”. Questo quanto cita il documento.

È stato inoltre valutato che l’operazione del conducente della pala meccanica prevedeva un’alternanza di momenti di stasi con momenti di riaccensione della macchina; il conducente non era in grado di osservare dalla sua posizione se all’interno della tramoggia vi fossero persone.
La sentenza afferma inoltre che il vincolo dei dipendenti a procedure rigorose di comunicazione e di verifica delle possibilità di agire in sicurezza sarebbero state le misure ideali da adottare. In questo caso solo una violazione delle prescrizioni avrebbe esentato l’imputato da responsabilità.

Nel documento viene esaminato anche il ricorso alla sentenza, presentato dall’imputato e dal suo difensore, i quali ne sostengono l’illogicità.
Il primo motivo a loro avviso è la dichiarazione contraddittoria all’interno della sentenza che l’evento accaduto risultasse da un lato imprevedibile, in quanto determinato da una condotta imprudente del lavoratore, dall’altro determinato dall’omessa attivazione di procedure di controllo e di prevenzione. Altro punto di illogicità, secondo la difesa, il fatto che i giudici rilevarono l’imprevedibilità del comportamento della vittima nel ritornare nella tramoggia senza avvertire, ma la Corte d’Appello dichiarò contemporaneamente prevedibile la possibilità di strascichi dell’operazione di pulitura durante la quale avvenne l’incidente.
Il secondo motivo riguarda la mancata identificazione delle normative antinfortunistiche violate. I  tecnici della ASL intervenuti nell’immediatezza dei fatti sostennero che non vi furono infrazioni a norme in materia di igiene e sicurezza del lavoro, mentre la Corte territoriale, affermò nella sentenza la colpa dell’imputato sulla base di un asserito obbligo, non previsto da alcuna norma, di adibire un terzo lavoratore alle operazioni in questione.

Il terzo motivo, sostenuto dalla difesa nel ricorso, relativo ad un’erronea applicazione della legge penale, fa riferimento al fatto che l’imputato fu ritenuto responsabile della sicurezza senza che a suo carico fossero emersi i requisiti fondamentali per identificarne tale qualifica. Essi sostengono che non fu data all’imputato nessuna delega formale per la sicurezza. Aggiungono inoltre che il legale rappresentante dell’azienda, presente sul posto di lavoro, sarebbe stato tenuto a garantire la sicurezza stessa in considerazione del suo ruolo di amministratore dell’azienda apicale nell’organigramma associativo.

Con la sentenza del 24 febbraio il ricorso in Cassazione è stato comunque rigettato e la Corte di Cassazione dichiara non risulta affatto evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che non costituisce reato.
“L’affermazione di responsabilità dello S. è comune alle due sentenze di merito e la sentenza attualmente impugnata espone con logica e completezza i profili di colpa dell’imputato sia con riferimento alla sua posizione di responsabilità in seno all’azienda, sia con riferimento alla dinamica dell’incidente sulla base delle risultanze istruttorie richiamate. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali”.

Ti potrebbe interessare

Contenuti sponsorizzati
    Condividi questo articolo