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Cadute dall’alto, il Codice civile ancor prima delle disposizioni ad hoc

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Respinto dalla Cassazione il ricorso di un datore di lavoro in campo edilizio, condannato in appello per reato ex artt. 113 e 589 del Codice penale in relazione all’art. 2087 del Codice per aver cagionato la morte di un dipendente permettendo allo stesso di eseguire dei lavori in piedi su una trave posta a 1, 47 m. di altezza dal piano-solaio e su una trave larga solo 0,30 m., tale da non garantire spostamenti o movimenti agevoli… omettendo misure di prevenzione di scivolamento caduta del lavoratore.

Nel ricorso il datore di lavoro si è difeso sostenendo la circostanza che il lavoro era stato svolto ad altezza inferiore a 2 m.*.

La Cassazione, sentenza n. 46979, depositata il 26 novembre 2015, ha respinto il ricorso del datore di lavoro sostenendo la sua colpevolezza per violazione delle “regole cautelari” di cui all’art. 11, c. 7. lett. d) del Dpr 547/1955**.

E perché, continua la sentenza, ancor prima delle disposizioni (appena riferite sopra, Ndr) con applicazione allo specifico fatto contestato (esecuzione lavori ad altezza dal suolo-adozione misure antiscivolo e anticaduta), la responsabilità del datore di lavoro per omissione di misure generali di sicurezza, viene chiamata in causa dall’art. 2087 del Codice civile***.

* Per l‘art. 16 del Dpr 164/1956, successivamente ribadito dall’art. 107 del TU 81/08, nessun obbligo di impalcature di protezione-prevenzione.

** “Quando i lavoratori occupano posi di lavoro all’aperto, questi devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che i lavoratori: a) sono protetti contro gli agenti atmosferici e, se necessario, contro la caduta di oggetti; b) non sono esposti a livelli sonori nocivi o ad genti esterni nocivi, quali gas, vapori, polveri; c) possono abbandonare rapidamente il posto di lavoro in caso di pericolo o possono essere soccorsi rapidamente d) non possono scivolare o cadere”.

*** “ L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” (Codice Civile , libro quinto – Del lavoro, Titolo II – Del lavoro nell’impresa, Capo I – Dell’impresa in generale, Sezione I – Dell’imprenditore).

Info: Olympus, sentenza Cassazione 26 novembre 2016 n.46979

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