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Sentenza sulle cuffie antirumore e vigilanza sull’effettivo loro utilizzo

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Un dipendente era ricorso contro la propria ditta adducendo di aver contratto, a causa delle mansioni espletate, una grave ipoacusia bilaterale. Lo stesso dipendente aveva invocato la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. per non aver la società ottemperato ai propri obblighi di salvaguardia e tutela della salute dei lavoratori, (omissione di dotazione delle cuffie antirumore) e aveva chiesto la condanna con risarcimento del danno biologico patito in conseguenza della infermità contratta.

Alla sentenza di condanna da parte della Corte di appello, la società interessata aveva opposto ricorso adducendo diversi motivi tra i quali la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2087 c.c., in relazione al nesso di causalità tra la presunta condotta colpevole e la malattia del lavoratore (art. 360, comma 1, n.3 c.p.c.). Nel ricorso si lamentava che la sentenza impugnata aveva ritenuto erroneamente di addossare sulla ditta “l’onere di provare l'(in)esistenza del nesso causale tra l’ambiente di lavoro e la patologia denunciata dal lavoratore”.

Sulla questione aveva ricorso in Cassazione la ditta, alla quale la Cassazione Civile, Sez. Lav., con sentenza del 12 aprile 2016, n. 7125, ha negato la fondatezza del motivo, “posto che la Corte di merito ha ritenuto provato, dalle testimonianze escusse e dalle altre circostanze di causa, ivi compresi gli accertamenti peritali, la morbigenità dell’ambiente di lavoro denunciata dal lavoratore, ed il nesso causale tra esso e la patologia lamentata dal lavoratore”.

Fra gli altri motivi non accolti dalla Cassazione si deve aggiungere che la Corte di merito aveva accertato che per un lungo lasso di tempo (1985-1992) il lavoratore interessato aveva “svolto le sue mansioni di motorista su motonavi non dotate di ‘control room’ e che dalle testimonianze raccolte era emerso che sino al 1988 gli addetti alla sala motori non erano dotati di cuffie antirumore”.

A questo proposito la Cassazione afferma che “deve in ogni caso evidenziarsi che l’ipotetica obsolescenza dei d.p.i., ovvero l’utilizzo di altri sistemi (es. control room) non elimina certamente l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., che per il suo carattere di norma di chiusura del sistema protettivo …. impone comunque all’imprenditore di adottare tutte le misure che secondo l’esperienza e la tecnica siano in grado di tutelare e garantire l’integrità psico fisica del lavoratore, restandone quindi esclusi solo gli atti e comportamenti abnormi ed imprevedibili del lavoratore, idonei ad elidere il nesso causale tra le misure di sicurezza adottate e l’eventuale danno realizzatosi”**.

* (cfr., ex aliis, Cass. n. 4840\2006, Cass. n. 12138\2003).
** (ex plurimis, Cass. n. 27127\2013).

Info: Olympus, sentenza Cassazione Civile 12 aprile 2016 n.7125

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