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Morì sul lavoro a 23 anni, la madre rilancia un appello per fermare la strage

FERMO – Non più una vita, e nemmeno una tomba propria per Andrea Gagliardoni; per nessuna delle due cose si può dar la colpa al fato e nemmeno a lui, rimasto ucciso in un incidente sul lavoro il 20 giugno del 2006. Aveva solo 23 anni, Andrea: quel lavoro doveva essere il punto di partenza per una svolta alla propria vita e invece, come è poi stato accertato, un macchinario non a norma ha fatto sì che proprio il lavoro mettesse la parola ‘fine’ alla sua breve esistenza. Questa morte ha però segnato anche l’inizio di una battaglia lunghissima da parte di sua madre, Graziella Marota, che da poco è stata nominata dal Presidente della Repubblica ‘Cavaliere per la cultura sulla sicurezza’.
Una battaglia doppia, da una parte quella pubblica, finalizzata a richiamare l’attenzione sul rispetto delle norme di sicurezza, affinchè quello che è accaduto ad Andrea  non accada più, dall’altra una battaglia più privata, per dare una sepoltura definitiva al figlio. Il ragazzo, infatti, in un primo momento fu sepolto in un loculo preso in prestito da una signora: a 23 non si può prevedere la morte e Andrea, che aveva appena acquistato una casa, non aveva avuto alcun motivo di acquistare anche una sepoltura. Doveva essere solo una soluzione temporanea ma poi, quando la famiglia ha fatto richiesta di spostare il corpo in un altro loculo, si è vista negare l’autorizzazione perché la legge – a cui nessuno al momento ha saputo trovare una deroga – prevede che il corpo possa essere spostato solo quando la legittima proprietaria del loculo sarà deceduta ed andrà ad occupare il suo posto. Una situazione inaccettabile non solo per la madre della giovane vittima del lavoro ma anche per la maggior parte degli abitanti di Porto Sant’Elpidio, il paese dove vive la famiglia, che in questi anni le sono stati sempre accanto scendendo anche in strada per manifestazioni di protesta contro l’amministrazione comunale.

La mamma di Andrea, nonostante siano trascorsi 4 anni, non smette comunque di gridare a gran voce la sua indignazione, non solo per suo figlio ma anche per tutti coloro che ancora nel nostro paese invece di fondare la propria vita sul lavoro se la vedono sottrarre da questo. E così lo scorso 31 gennaio ha voluto rilanciare il suo appello per ‘fermare la strage’ con una lettera inviata alla stampa che pubblichiamo qui di seguito.
“ Andrea aveva 23 anni quando, il 20 giugno 2006, è rimasto con il cranio schiacciato da una macchina tampografica non a norma – scrive la signora Marota – Andrea voleva imparare a suonare la tromba, come se la chitarra da sola gli andasse stretta. Perché a quell’età la taglia dei desideri si allarga e non stai più nei tuoi panni dalla voglia di metterti alla prova, conoscere, guardare avanti. Da li a quattro giorni pure la metratura della sua vita sarebbe lievitata di colpo: dalla sua camera da ragazzo, in casa dei genitori, a un mini appartamento, acquistato dai suoi con un mutuo, a metà strada tra Porto Sant’Elpidio e la fabbrica Asoplast di Ortezzano, dove aveva trovato lavoro come precario per 900 euro al mese. Andrea voleva imparare a suonare la tromba, ma non ha fatto in tempo: una tromba che, rimasta là dov’era in camera sua, suona un silenzio assordante. E neppure l’appartamento è riuscito ad abitare: doveva entrare nella nuova casa sabato 24 giugno 2006, se ne è andato il 20 giugno di 4 anni fa. Oggi Andrea avrebbe 28 anni ma è morto in fabbrica alle sei e dieci dell’ultimo mattino di primavera. E suonerebbe ancora la chitarra con i Nervous Breakdown e non darebbe il suo nome a una borsa di studio. Sarebbe la gioia di sua mamma Graziella e non la ragione della sua battaglia da neo cavaliere della Repubblica, per cultura sulla sicurezza. Una battaglia finita con una sconfitta dolorosa: nel nome del figlio e a nome dei tanti caduti sul lavoro, senza giustizia: Umbria-Oli, Molfetta, Thyssenkrupp, Mineo… Sono solo le stazioni più raccontate di una via Crucis quotidiana, che per un po’ chiama a raccolta l’indignazione italiana, che poi guarda altrove. Le morti si fanno sentire, ma le sentenze molto meno, quando passano sotto silenzio anche per una sorta di disagio nell’accettarle e comunicarle. I responsabili di questa orrenda morte sono stati condannati a otto mesi di condizionale con la sospensione della pena, anche se il Procuratore generale del tribunale di Fermo aveva parlato «di un chiaro segnale perché questi reati vengano repressi con la massima severità».
Andrea è stato ucciso per la seconda volta – prosegue Graziella –  La tragedia è finita nel dimenticatoio, con alcune frasi fatte e disfatte, tipo non deve più accadere, basta con queste stragi, lavoreremo per migliorare la sicurezza. Parole piene di buone intenzioni, che lo spillo della smemoratezza buca in un momento. Parole al vento! Alla fine anche Andrea si è perso tra i morti da stabilimento e da cantiere: martiri del lavoro che fanno notizia, il tempo di commuovere, che non promuovono ronde per la sicurezza, spesso rimossi pure nei processi. Tragedie quotidianamente dimenticate da un Paese ignavo e incurante. La tromba silente di Andrea a suonare la sua ritirata. Questo è quanto accade a tutti i morti sul lavoro; di loro restano solo dolore e angoscia dei familiari ma giustamente questo non fa notizia: una mamma che piange tutti i giorni, che guarda sempre la porta di casa aspettando che il suo Andrea rientri perché spera che tutta la sofferenza che sta vivendo sia solo un brutto sogno… Ma tutto ciò non importa a nessuno! Questa è la tragica realtà, di chi rimane e si rende conto di essere emarginato e dimenticato da tutti. Forse ciò che gli altri non conoscono è la realtà del “dopo” di queste tragedie… La vita per i familiari viene stravolta dal dolore e dalla mancanza della persona cara, ti ritrovi a lottare giorno per giorno per sopravvivere e se sei forte riesci in qualche modo a risollevare la testa da quel baratro di depressione in cui sei caduta, altrimenti sprofondi sempre di più! Ti accorgi che sei lasciato solo a te stesso… manca il sostegno psicologico, sono assenti tutte le istituzioni e nessuno è disposto ad ascoltare il tuo dolore perché il dolore fa paura a tutti! Speri nella giustizia ma questa si prende beffa di te, perché otto mesi e sospensione della pena per chi ha ucciso tuo figlio mi sembra una vergogna per un paese che si definisce civile… Vogliamo parlare dell’Inail, questo ente che ogni anno incassa milioni di euro? Ebbene la morte di Andrea è stata calcolata 1.600 euro e cioè rimborso spese funerarie, allora mi chiedo ma la vita di mio figlio che è stato ucciso a soli 23 anni, per la società non valeva nulla? Eppure io quel figlio l’ho partorito, l’ho amato, curato e protetto per 23 anni, era il mio orgoglio e la mia felicità, e quindi tutto diventa assurdo e inaccettabile! Nemmeno l’assicurazione vuole pagare il risarcimento e a distanza di 4 anni e mezzo dovrò subire ancora violenze psicologiche tornando di nuovo in tribunale e ripercorrere ancora una volta questa tragedia… descrivere come è morto Andrea, come lo hanno trovato i colleghi di lavoro, come ho vissuto dopo e come continuo a vivere oggi… Credetemi una pressione che non riesco a sopportare più. Per terminare, anche l’amministrazione comunale di Porto Sant’Elpidio si rifiuta di dare una definitiva sepoltura al mio angelo! Allora mi chiedo e lo chiedo a voi che state ascoltando questa lettera: la vita di un operaio vale così poco? E’ un essere umano come tutti e se per i soldati morti in “missione di pace” si fanno funerali di Stato, per i 1.300 operai che muoiono ogni anno per la mancanza di sicurezza, cosa viene fatto? Nulla, perché non sappiamo nemmeno nome e cognome… sono solo numeri che fanno parte di una statistica. Termino questa lettera con un appello disperato: fermiamo questa strage che serve solo a far arricchire gli imprenditori e a distruggere le famiglie! Ogni essere umano ha diritto alla propria vita e non si può perderla per 900 euro al mese!”.

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