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VIDEO – Tragedia Thyssen, intervista al deputato Antonio Boccuzzi

servizio di Enzo Di Frenna e Matteo Marini

ROMA – Sono trascorsi tre anni dalla tragedia ThyssenKrupp dove morirono 7 operai. Ma l’unico supersiste, l’ottavo lavoratore, non dimentica. Si salvò grazie a un muletto che lo protesse dalla fiamme. Ma in quei minuti terribili memorizzò per sempre le grida di dolore dei suoi compagni, che bruciarono vivi. Oggi Antonio Boccuzzi è deputato del Partito Democratico e si batte per sensibilizzare le aziende e i lavoratori sulla necessità di lavorare in sicurezza, proteggendo la propria salute e la propria vita. Quotidiano Sicurezza lo ha intervistato pochi giorni prima di un annuncio importante: quello del giudice Raffaele Guarinillo, che nell’aula del tribunale di Torino chiedeva 16 anni di carcere per l’amministratore delegato della Thyssenkrupp,

Antonio Boccuzzo, parlamentare del Partito Democratico, unico sopravvissuto alla tragedia della Thyssnkrupp, dove otto operai di cui sette morirono, e lei, appunto è sopravvissuto. Oggi è parlamentare ed è impegnato sul  tema della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori. Io vorrei subito chiederle un suo ricordo di quel tragico evento.

«Quella sera eravamo in otto. Sette di questi ragazzi non ci sono più, sono in un altro luogo, un luogo che rappresenta il dolore, rappresenta il posto dove si ritrovano le famiglie di questi ragazzi, di questi lavoratori, dei miei amici. Perché poi questo eravamo. All’interno della Thyssen si erano creati dei nuovi rapporti, non era solo il luogo di lavoro ma era diventato anche il luogo di amicizia dove le stesse si sviluppavano in funzione di turni che in qualche maniera avevano cancellato le altre amicizi,e che si avevano all’esterno dello stabilimento, perché noi facevamo una forma di turno a ciclo continuo quindi sei giorni di lavoro, due di riposo, si lavorava il sabato, la domenica, la notte e si creavano all’interno dello stabilimento quasi delle nuove famiglie per cui il dolore condiviso con le famiglie di appartenenza aumenta anche per questo, perché i rapporti vanno ben al di là di quello che sono i rapporti normali che ci possono essere in altre situazioni di lavoro.»

Ci racconti cosa è successo quella sera. Un suo ricordo dell’evento.

«Eravamo in una situazione normale di lavoro, la linea girava, e noi eravamo in attesa di imboccare un nuovo rotolo. Noi producevamo rotoli di acciaio e durante questa attesa si fa  un controllo del processo attraverso delle telecamere, attraverso dei display, attraverso  dei computer. Improvvisamente uno dei mie colleghi si accorse di un inizio di incendio, un principio di incendio in mezzo alla linea  e ci precipitammo tutti all’esterno. Eravamo sei diretti operatori della linea, il capoturno e un altro ragazzo che si occupava di altro ma era venuto in quel momento ad avvisare il capoturno che era arrivato in ritardo. Quindi anche la condizione di questo ragazzo… cioè lui muore solo per essere andato a comunicare il suo ritardo al capoturno. Si precipita però con noi, perché c’era anche questo sentimento di solidarietà che vivevamo … si precipita con noi a cercare di spegnere questo incendio, un piccolissimo incendio, avevamo spento moltissime altre volte incendi come questo. Dopo però, nel momento in cui io mi avvicino alle fiamme il mio estintore non funziona, è vuoto, mi rendo conto di questo, dove aver provato a nebulizzarlo e lo lancio via anche arrabbiato. Questa è una mancanza, un esulare le norme di sicurezza basilari perché l’estintore avrebbe dovuto essere carico, avrebbe dovuto essere nel posto in cui purtroppo non c’era.»

Quindi a suo avviso, a posteriori, che indice di sicurezza c’era in quel periodo alla Thyssen?

«Bassissimo. E anche dovuto al fatto che l’azienda aveva deciso di chiudere la realtà di Torino … perché lo stesso anno la Thyssen aveva deciso di chiudere Torino e trasferire gli impianti, e in qualche maniera anche gli operai a Terni, come se questa potesse essere una soluzione normale, indolore, di un processo che in realtà richiede a mio avviso un dato completamente diverso da quello utilizzato dall’azienda. Quindi non si è più fatta manutenzione, la sicurezza  è diventata a mio avviso un costo e non un investimento per l’azienda, tanto è vero che nell’arco del procedimento penale è venuto fuori anche  che la stessa assicurazione aveva chiesto di fare un sistema antincendio proprio su quella linea. Così non è stato, non è stato realizzato e si è permesso in qualche maniera che potesse accadere questo.»

Quindi lei conferma il fatto che a seguito dell’incidente molti cominciarono  a puntare il dito contro l’azienda affermando proprio questo: e cioè che l’incidente era stato causato dalla violazione di standard di sicurezza. Si parlò anche di estintori scarichi, mal funzionanti, ma soprattutto di assenza di personale specializzato…

«Certo, una delle motivazioni e delle criticità che avevano reso tutto più difficile era proprio questa: l’assenza di misure basilari di sicurezza e allo stesso tempo l’assenza di persone che avessero l’esperienza, soprattutto in quella linea, perché ovviamente i profili più alti, cioè quelli che avevano più esperienza avevano trovato altre soluzioni di lavoro in altri ambiti, quindi erano andati via,  tanto è vero che occorreva sopperire al’assenza di personale con dello straordinario. Io e Antonio Schivò, che è stato il primo ragazzo a morire in quell’incendio, eravamo quella notte all’undicesima ora di lavoro e così i giorni precedenti, il lunedì il martedì, perché l’incidente cadde nella notte di mercoledì. Il lunedì e il martedì noi facemmo circa quindici ore di lavoro.»

Si è detto che la Guardia di Finanza ha trovato nell’ufficio dell’amministratore delegato della Thyssen,  Herald Espenhahn, un documento in cui si diceva che lei andava fermato come unico testimone e quindi in qualche modo sostiene la tesi che la colpa è degli operai. A lei risulta che questo documento sia stato trovato e in qualche modo che livello di boicottaggio c’è stato da parte della Thyssen?

«Mah, io quando seppi dell’esistenza di questo documento iniziai a vivere ancora peggio perché nel momento in cui leggi che il sottoscritto andava fermato, con ogni mezzo, è ovvio che dentro la tua testa, e nella mia che vivevo in quel momento una situazione molto molto particolare, puoi aspettarti qualsiasi cosa. Fortunatamente non accadde nulla, però è ovvio che le paure erano notevoli. Fu confermato nell’arco del procedimento penale che questo documento esisteva davvero e la cosa di cui io sono certo è che alla Thyssen infastidì la mia presenza, il fatto che io andassi in televisione, sui giornale, a raccontare quello che era accaduto quella notte.  Ma io insisto anche su una cosa: io non ho mai caricato di nulla, né di rancore né di nient’altro, per quello che è accaduto in quella vicenda. Ho solo raccontato le cose così come sono andate, non ho mai riservato rancore né verso la Thyssen né verso gli imputati, benché oggi mi rendo conto che anche questo sentimento non lo meriterebbero perché permettere che sette persone, che erano  lì solo per guadagnarsi il pane, non facciano ritorno a casa, credo che sia  veramente il massimo a cui una persona può abbassarsi per … non riesco a definire ancora anche oggi per quale tipo di interesse. E non solo interesse personale ma qui parliamo di un interesse ben più grande che va al di là dei soli interessi personali. Quindi mettere da parte l’incolumità delle persone, dei lavoratori, solo per l’interesse dell’azienda credo che sia il ragionamento più sbagliato che possa esserci nella gestione di qualsiasi tipo di attività. Per la prima volta nel nostro paese un  processo  legato agli infortuni sul lavoro  vive in Corte d’Assise la richiesta è di omicidio volontario, una richiesta mai accaduta. Normalmente tutto viene derubricato, omicidio colposo, nessuno paga, nessuno finisce in galera e mio avviso questo non serve da deterrente, ecco. Io mi auguro che venga mantenuta l’imputazione di omicidio volontario e questa possa  diventare anche nuova  giurisprudenza nel nostro paese, nel momento in cui ci si approccia ad effettuare processi nei confronti di chi trasgredisce le misure di sicurezza.»

Da quando è parlamentare quali sono le iniziative legislative che ha portato avanti e che sta portando avanti?

«Una proposta di legge, condivisa tra tutti i gruppi parlamentari, che abbiamo presentato lo scorso anno e hanno partecipato anche molti personaggi – anche del mondo artistico, da Mimmo Calopresti ad Ottavia Piccolo – e molti molti altri. Tuntti hanno sostenuto questa proposta di istituzionalizzare  una giornata, il 6 dicembre, i cui accadde la tragedia della Tyssen, e farla diventare la Giornata della Sicurezza sul  Lavoro. Nell’arco di questa giornata la nostra intenzione è quella di fare alcune attività legate alla sicurezza sul lavoro, come convegni, ed istituire un fondo di 10 milioni di euro per ogni anno per poter far sì, appunto, che si facciano queste iniziative. Dello stesso fondo possono anche usufruirne associazioni quali l’Anmil che ha già nella seconda domenica del mese di ottobre una giornata dedicata alla sicurezza sul lavoro, agli invalidi in particolar modo. In questi quasi ormai tre anni di legislatura molte sono state le iniziative affrontate dal Parlamento riguardo alla sicurezza, alcune negative – quali le deroghe alla sicurezza per la raccolta dei rifiuti in Campania – alcune positive, nel momento in cui il mio gruppo parlamentare ha affrontato e ha osteggiato l’iniziativa governativa di andare a modificare il decreto 81 da parte del Ministro Sacconi. Mi riferisco all’art. 10 bis su cui intervenne il Presidente della Repubblica Napolitano. La modifica prevedeva, con un decalage assurdo di responsabilità da parte degli imprenditori, che nel momento in cui veniva verificata una piccola responsabilità da parte del lavoratore veniva derubricata la responsabilità del datore di lavoro, e questa è una assurdità che va assolutamente in contraddizione con la giurisprudenza nel nostro Paese. Siamo riusciti, grazie anche all’intervento di Guarinello in Commissione Lavoro ad arginare questa tendenza, anche se a mio avviso comunque è stato fatto un passo indietro con un decalage  assurdo di tutte le sanzioni a carico degli imprenditori e, senza alcuna ratio, un’aumento delle sanzioni a carico dei lavoratori. Si vede bene da che parte sta il governo e allo stesso tempo credo che sia un percorso non virtuoso per la soluzione del problema.»

Per concludere, le vorrei chiedere un messaggio ai lettori di Quotidiano Sicurezza volto a diffondere sempre più la sensibilizzazione verso questa tematica sempre più attuale.

«Io ritengo che al di là delle norme che sono sicuramente utili, e che vanno rispettate, assolutamente rispettate, credo anche sia necessario iniziare un nuovo percorso anche nei confronti della cultura della sicurezza dove tutti gli attori, i datori di lavoro ed i lavoratori possano porsi in una condizione diversa. Gli imprenditori devono mettere al centro della propria mission imprenditoriale i lavoratori e  i lavoratori devono avere l’opportunità, la possibilità di mettere al centro della propria missione lavorativa la propria incolumità»

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